LUGANO – Al Teatro Foce di Lugano la voce di Tindaro Granata.
APPUNTAMENTO AL TEATRO FOCE DI LUGANO
Dallā11 al 13 gennaio il Teatro Foce ospita il debutto assoluto di Vorrei una voce di e con Tindaro Granata, lavoro prodotto da LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Proxima Res. Uno spettacolo in forma di monologo che fonda la sua drammaturgia dall’incontro di Tindaro Granata con le detenute di alta sicurezza della Casa Circondariale di Messina che attraverso alcune canzoni di Mina raccontano il proprioĀ mondo. Una creazione in cui Luigi Biondi cura il disegno luci, Aurora Damanti ha creato i costumi, Alessandro Bandini ha assistito Granata nel percorso registico. Ispirato dal lungo percorso teatrale che lāautore e attore siciliano ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare allāinterno della Casa Circondariale di Messina con la sezione femminile di alta sicurezza. Vorrei una voce nasce grazie al progetto Il Teatro per Sognare ideato e organizzato da Daniela Ursino, direttrice artistica del teatro nel penitenziario. Le canzoni di Mina, che Granata interpreta in playback, diventano la materia dei sogni, appartengono alla memoria collettiva di tutti noi e si sono rivelate essere materiale ideale per lavorare con persone non professioniste. Il fulcro della drammaturgia ĆØ il sogno: perdere la capacitĆ di sognare, significa far morire una parte di sĆ©.
LA VOCE
Vorrei una voce ĆØ dedicato a coloro i quali hanno perso la capacitĆ di farlo. Recentemente insignito, per la seconda volta, nel corso della sua fortunata carriera del Premio Nazionale della Critica 2023, Tindaro Granata ha saputo distinguersi per le sue capacitĆ a tutto tondo nel campo delle arti; accanto al suo impegno come interprete e drammaturgo ĆØ un instancabile organizzatore, pedagogo e direttore artistico. Con Vorrei una voce, Granata dona corpo e voce ad un progetto drammaturgico totalmente inedito, che racconta quello che lo stesso suo autore e protagonista ha definito essere “un incontro di anime avvenuto in un luogo molto particolare”. āEro un giovane uomo, lavoravo, avevo una casa, una macchina e soprattutto persone che mi amavano, ma avevo smesso di provare gioia per quello che facevo, non credevo più in me stesso e in niente. Non so come sia successo. Un giorno mi sono svegliato e non mi sono sentito più felice, nĆ© di fare il mio lavoro nĆ© di progettare qualsiasi altra cosa. Quando mi arrivò la telefonata di Daniela Ursino, direttrice artistica del teatro allāinterno della Casa Circondariale di Messina, con la proposta di fare un progetto teatrale con le detenute āper farle rivivere, sognare ritrovando una femminilitĆ perdutaā, capii, dopo averle incontrate, che erano come me, o forse io ero come loro: non sognavamo più. Guardandole mi sono sentito recluso, da me stesso, imbruttito da me stesso, impoverito da me stesso”.