GRECIA – Il Parlamento greco si appresta a votare un controverso disegno di legge che, secondo il governo conservatore di Nea Dimokratia, mira a promuovere un “lavoro giusto e flessibile“, ma che per i sindacati rappresenta una vera e propria “schiavitù retribuita“. La riforma, firmata dalla ministra del Lavoro Niki Kerameos, permetterebbe ai dipendenti del settore privato di estendere l’orario a 13 ore giornaliere (oltre le consuete 8) per un massimo di 37 giorni all’anno e su base volontaria. L’impiego extra, stando alla proposta, sarebbe compensato con un aumento retributivo del 40%. Questa iniziativa ha scatenato la forte opposizione delle sigle sindacali, in particolare la Gsee (Confederazione generale dei lavoratori greci), che ha organizzato ben due scioperi generali in un mese, denunciando un “ritorno dei diritti del lavoro al Medioevo“. La critica è centrata sul rischio che, dato il basso potere d’acquisto dei greci (tra i più bassi dell’UE, nonostante lavorino in media più ore settimanali della media europea) e lo squilibrio di potere tra datore e dipendente, molti lavoratori non potranno di fatto rifiutare la richiesta di straordinario. L’opposizione, guidata da Pasok e Syriza, accusa il governo di smantellare sistematicamente i diritti e di aggravare la povertà.
Flessibilità o sfruttamento?
Nonostante le barricate sindacali e la levata di scudi dei partiti di opposizione, il governo di maggioranza di Nea Dimokratia sembra intenzionato ad approvare il disegno di legge. La ministra Kerameos respinge con fermezza le accuse, sostenendo che la riforma tutela i lavoratori che già si destreggiano tra due impieghi e che la norma non intacca la normale giornata lavorativa, interessando circa tre giorni al mese in media. L’obiettivo, a suo dire, è regolarizzare e retribuire con un extra del quello che accade già, eliminando la necessità di doversi spostare tra due diversi datori di lavoro per un totale di 13 ore (possibilità già prevista da una legge precedente). Tuttavia, la Gsee ribadisce in una lettera che la riforma “mette a repentaglio la salute e la sicurezza dei dipendenti e distrugge qualsiasi equilibrio tra la vita personale e professionale“. Il dibattito in Parlamento evidenzia la profonda spaccatura nel Paese sulla direzione delle politiche del lavoro: se da un lato si cerca maggiore flessibilità per stimolare l’economia, dall’altro l’allarme resta alto per i diritti di una forza lavoro già sottopagata rispetto agli standard europei.














