ARGENTINA – A Buenos Aires il “miracolo economico” promesso dal Presidente Javier Milei sembra essere giunto al capolinea. Nonostante venti mesi di sforzi mirati a un’ortodossia fiscale, che hanno ridotto l’inflazione (dal 12,8% a meno del 2%) e portato a un pareggio di bilancio storico dopo un decennio di disavanzi, la fragilità strutturale dell’economia argentina è tornata a farsi sentire. La promessa di Milei di raggiungere la parità tra peso e dollaro è svanita, con gli investitori in fuga e una palpabile paura di una nuova svalutazione. Il saldo della bilancia dei pagamenti è tornato in rosso, superando i tre miliardi di dollari nel secondo trimestre 2025, a causa del peso insostenibile degli interessi sul debito. I tre squilibri cronici – la dipendenza dall’export agricolo (soia e mais), il drenaggio di valuta dalla bilancia dei servizi e il deficit del reddito primario (interessi sul debito estero e dividendi rimpatriati) – sono rimasti irrisolti. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha promosso l’Argentina per i target fiscali rispettati, ma ha bocciato il Paese sulle riserve, costringendo la Banca centrale a vendere dollari per difendere il peso, un meccanismo già visto in passato.
Intervento USA e la trappola del debito
Di fronte alla rinnovata crisi valutaria, gli Stati Uniti sono scesi in campo con un intervento massiccio per evitare il deragliamento delle riforme economiche di Milei. Washington ha annunciato una linea swap da 20 miliardi di dollari e la disponibilità ad acquistare bond in valuta estera tramite l’Exchange Stabilization Fund (già usato per il Messico nel 1995), fermando momentaneamente la fuga dal peso. La mossa americana, come suggeriscono gli analisti, punta anche a obiettivi geopolitici, cercando di allontanare l’Argentina dalla Cina (con cui Buenos Aires ha una linea swap attiva da 5 miliardi) e di assicurarsi l’accesso a risorse strategiche come il litio e i minerali critici argentini. Il vero nodo resta l’insostenibile peso del debito estero: l’Argentina dovrà onorare oltre 45 miliardi di dollari nei prossimi tre anni, di cui 15 al FMI. Senza un massiccio surplus commerciale o un afflusso di investimenti diretti, il Paese rischia di ricadere nel classico circolo vizioso: il sostegno esterno compra tempo, ma aumenta il debito, ritardando il riequilibrio strutturale e strutturale. L’incontro tra Milei e Donald Trump del 14 ottobre alla Casa Bianca sottolinea l’importanza strategica dell’aiuto, ma la stabilità a lungo termine richiede una soluzione più profonda.