MERCATI – Il vero problema di Wall Street: una Federal Reserve debole, non la bolla tech. A cura di Alessio Garzone, portfolio manager di Gamma Capital Markets. Il discorso del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, nel Rhode Island ha pesato notevolmente sui mercati. Dopo il recente taglio di 25 punti base deciso dal FOMC, Powell ha segnalato un approccio cauto a ulteriori riduzioni del costo del denaro, parlando di un equilibrio estremamente complesso tra i rischi di inflazione, ancora orientati al rialzo, e quelli occupazionali, sempre più orientati al ribasso. Nel suo intervento di martedƬ, il presidente della Fed ha sottolineato lāindebolimento del mercato del lavoro e delle prospettive economiche, a fronte di unāinflazione che resta elevata: infatti se guardiamo al core PCE questo ĆØ risalito al 2,9% su base annua. Sul mercato del lavoro, si ĆØ registrato un netto rallentamento sia dell’offerta che della domanda di lavoratori, definito da Powell come āan unusual and challenging developmentā, per cui allentare troppo velocemente significherebbe mettere a repentaglio i progressi sul fronte dei prezzi, ma mantenere una politica restrittiva troppo a lungo rischierebbe invece di compromettere il lavoro. Non a caso, le Borse hanno reagito con nervosismo e gli indici azionari americani hanno chiuso in negativo la sessione di ieri, riflettendo la preoccupazione per valutazioni giĆ considerate elevate.
Non siamo nel 2000
Devo essere onesto: sono mesi se non addirittura anni che leggo (e leggiamo, chiaramente) storie, analisi e titolini di giornali fatti per vendere più copie che urlano continuamente alla bolla tech e prevedono (e forse ci sperano) in un crollo della borsa. Sempre più spesso poi si fa richiamo alla bolla dot-com degli anni 2000. E cosƬ mi sono posto la domanda: ma siamo davvero in bolla? Oggi abbiamo tutti gli strumenti per fare calcoli e capire, analizzare e definire se ĆØ vero oppure no. In estrema sintesi, quello che penso ĆØ che il mercato ĆØ sƬ, sicuramente caro e ipercomprato, ma da qui a dire āvendiamo tutto e scappiamo che sta scoppiando la bolla techā, secondo me ne corre… Ć vero, Le Magnifiche 7 ā Apple, Microsoft, Alphabet, Meta, Amazon, Nvidia e Tesla ā valgono oggi circa il 34% dellāS&P 500, con Nvidia che da sola capitalizza quanto lāintero mercato azionario tedesco. La concentrazione ĆØ senza precedenti, e il rischio percepito dagli investitori ĆØ quello di un eccesso simile a quello di inizio millennio. Se mettiamo i numeri uno accanto allāaltro, il paragone con la bolla dot-com perde subito forza. Lāimmagine che accompagna questa analisi parla chiaro. Nellāimmagine metto a paragone i big di allora con i big di oggi: lāaggregato delle Magnifiche 7 tratta oggi a circaĀ 42 volte gli utili attesi a due anniĀ (un valore oggettivamente elevato rispetto alla media storica, non cāĆØ dubbio) contro le oltreĀ 61 volteĀ dei leader tecnologici del 2000.
Oggi si pagano piattaforme che generano utili veri, cassa e buyback
Lo stesso discorso vale per lāEV/Sales pari a 9x oggi contro 11,4x allora. Se guardiamo ai fondamentali, il quadro ĆØ ancora più esplicativo. Oggi il ROE medio delle big tech ĆØ al 58% e il margine netto sfiora il 29%. Venticinque anni fa i numeri erano quasi la metĆ con un 28% di ROE e margini al 16%. Anche il leverage ĆØ su un altro pianeta, infatti Apple, Microsoft, Alphabet e Meta hanno Net Debt/Equity negativo, cioĆØ in cassa hanno più liquiditĆ che debiti, mentre nel 2000 colossi come IBM o Lucent viaggiavano con rapporti debito/capitale ben oltre il 30ā100%, cioĆØ altamente indebitati. Per cui, mettendo in fila questo e molto altro, possiamo dire con tranquillitĆ che allora si pagavano sogni, oggi si pagano piattaforme che generano utili veri, cassa e buyback. A conferma di ciò, il trailing EPS a 12 mesi delle Magnifiche 7 ha giĆ staccato sia lāindice S&P 500 che lāintero settore Tech.
I piani di investimento sullāAI
I piani di investimento sullāAI sono la prova più evidente, infatti i capex di Microsoft, Google, Meta e Amazon finanziano data center e infrastrutture destinate a generare ritorni in un arco pluriennale. Non sono progetti da valutare trimestre su trimestre, sarebbe da stupidi, e infatti la monetizzazione avverrĆ progressivamente, man mano che la capacitĆ installata verrĆ riempita da workload fatturabili. Per cui sƬ, sono e sarò sempre dāaccordo nel dire che il mercato oggi ĆØ caro e una correzione serve per digerire i multipli e allargare la partecipazione. Ma parlare di bolla stile dot-com ĆØ fuorviante. Chi si ferma ai titoloni (āil 95% dei progetti AI non ĆØ profittevole, MITā) confonde il rumore di breve con la realtĆ perchĆ© non qui non parliamo di start-up in perdita, ma di piattaforme che macinano cassa, riacquistano azioni e reinvestono miliardi per moltiplicare lāoutput futuro.
Buyback e capex come pilastri
Un altro elemento che distingue il presente dal 2000 ĆØ il ruolo dei buyback. Le big tech usano la loro enorme capacitĆ di generare cassa per riacquistare azioni e fra tutte Apple ĆØ al primo posto, con un piano da 100 miliardi di dollari, segue Nvidia da 50 miliardi, Alphabet da 70 miliardi. Questo crea una domanda strutturale che riduce lāimpatto delle correzioni e sostiene lāEPS anche in fasi di crescita più lenta.
I rischi sul tavolo
Detto questo, non mancano i rischi che potrebbero rendere le correzioni più profonde. Il primo ĆØ il costo del capitale perchĆ© tassi di interesse più alti comprimono i multipli e colpiscono i titoli growth. Poi ci sono i dazi e i controlli sullāexport tecnologico verso la Cina, che possono rallentare la tabella di marcia dei capex AI. A questi si aggiungono le pressioni antitrust, soprattutto in Europa, e i rischi geopolitici ed energetici che restano una variabile difficile da prevedere. Sono tutti rischi che tendenzialmente oggi sono giĆ incorporati ma un peggioramento potrebbe far inciampare uno o più titoli nello stesso momento. Tirando le somme, la differenza rispetto alla bolla dot-com ĆØ evidente: allora si pagavano sogni, oggi si pagano utili e free cash flow. Ma questo non significa che il mercato sia privo di rischi.Ā Il pericolo ĆØ piuttosto quello di una ābolla di capitalizzazioneā: pochi titoli che trascinano lāintero indice, aumentando la fragilitĆ complessiva.
Una Fed debole
Il discorso di Jerome Powell ci riporta al centro del problema. La Fed non ha tagliato i tassi per aver vinto la battaglia sullāinflazione (i prezzi restano ancora sopra il 2%) ma perchĆ© ha dovuto riconoscere il deterioramento del mercato del lavoro. Non ĆØ una vittoria, ĆØ una sconfitta silenziosa. Questo rende lo scenario ancora più delicato, perchĆ© se lāinflazione resta ostinata mentre il lavoro arretra, si materializza lo spettro peggiore: la stagflazione. Ć la trappola che Powell teme di più, perchĆ© lascia la Fed con le mani legate, perchĆ© in tal caso non può stimolare senza rischiare nuovi rialzi dei prezzi, non può stringere senza danneggiare ulteriormente il lavoro. CāĆØ poi un aspetto politico che sta diventando sempre più evidente. Il taglio non nasce in un contesto diĀ indipendenzaĀ piena, ma in uno scenario di pressione e di divisione interna. IlĀ dot plotĀ mostra chiaramente che lāunico a volere più tagli immediati ĆØ Stephen Miran, nominato da Trump proprio con questo obiettivo. Il fatto che questa linea inizi a farsi sentire dentro il board ĆØ un segnale forte: la coesione della Fed vacilla e la banca centrale appare meno neutrale di quanto dovrebbe essere.
Non siamo di fronte a una bolla pura
Se torniamo alle valutazioni, il confronto con il 2000 mostra che non siamo di fronte a una bolla pura, dato che i fondamentali delle big tech sono solidi, con bilanci net cash, buyback e utili record. Ma proprio perchĆ© i prezzi sono esigenti e la concentrazione estrema, lāinstabilitĆ politica e monetaria si riflette in maniera amplificata sugli asset finanziari. Powell ha ammesso che non esiste un percorso privo di rischi. La realtĆ ĆØ cheĀ il primo rischio ĆØ proprio una Fed più debole, più divisa e più dipendente dal contesto politico. E in un mercato caro, questo conta tanto quanto i numeri.