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Telelavoro: il Regno Unito è al vertice della classifica in Europa

EUROPA  Il Regno Unito si posiziona al vertice della classifica europea per il telelavoro, registrando il più alto tasso medio settimanale di lavoro da casa tra i 18 Paesi europei analizzati dalla Global Survey of Working Arrangements (G-SWA). Con 1,8 giorni di lavoro da remoto a settimana, il Regno Unito supera nettamente la media globale di 1,2 giorni, posizionandosi al secondo posto mondiale dopo il Canada (1,9 giorni). Questo risultato emerge da un’indagine condotta su lavoratori a tempo pieno tra i 20 e i 64 anni con diploma universitario o equivalente, evidenziando come le nuove abitudini post-pandemiche abbiano radicalmente trasformato il panorama lavorativo britannico. Il successo del modello di lavoro ibrido nel Regno Unito non è casuale, ma deriva da una combinazione di fattori culturali, economici e strutturali che hanno favorito questa transizione. L’alto livello di individualismo culturale britannico ha facilitato l’adozione di modelli lavorativi più autonomi e meno gerarchici.

Il panorama europeo: tra innovazione e resistenze culturali

Nel contesto europeo, la classifica del telelavoro rivela interessanti differenze geografiche e culturali. Finlandia (1,7 giorni) e Germania (1,6 giorni) seguono da vicino il Regno Unito, confermando come i Paesi del Nord Europa abbiano abbracciato più facilmente le modalità di lavoro flessibili. Portogallo (1,5 giorni), Ungheria e Paesi Bassi (entrambi 1,4 giorni) completano il gruppo dei Paesi con tassi di lavoro da remoto superiori alla media globale, dimostrando una progressiva diffusione del modello ibrido anche in contesti economici diversi. L’analisi dei dati europei evidenzia come il settore dei servizi giochi un ruolo determinante nell’adozione del telelavoro. Il Regno Unito, con la sua economia fortemente orientata verso finanza, consulenza e media, presenta caratteristiche strutturali particolarmente adatte alle modalità di lavoro da remoto. Oggi il lavoro ibrido non è più un benefit, ma una vera e propria aspettativa dei lavoratori, trasformando quello che era inizialmente una misura emergenziale in una componente permanente delle strategie aziendali. Le aziende che ignorano questa evoluzione rischiano di trovarsi in svantaggio competitivo, soprattutto nel confronto con i Paesi anglofoni che hanno saputo offrire maggiore flessibilità lavorativa ai propri dipendenti.

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