SVIZZERA – Il burnout, la sindrome legata allo stress cronico da lavoro, è un fenomeno in forte aumento che non può più essere ignorato, con un impatto economico e sociale enorme. Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’abbia incluso nel suo sistema di classificazione fin dagli anni ’70, lo riconosce specificamente come un “fenomeno occupazionale” e non come una malattia o un disturbo mentale vero e proprio. Questa distinzione è cruciale, poiché significa che lo stress da lavoro non può essere coperto dall’assicurazione infortuni, lasciando spesso i lavoratori in una posizione vulnerabile. In Italia, si stima che i costi legati allo stress da lavoro per l’economia siano ingenti, raggiungendo cifre vicine ai 6,5 miliardi di euro a causa di assenteismo, calo di produttività e assistenza sanitaria. Un aumento dal 18% al 23% dei casi nell’ambito lavorativo, come evidenziato da Michele Mattia dell’ASI-ADOC, sottolinea l’urgenza di riconoscere e affrontare il problema a livello aziendale e personale.
Vivere e uscire dal labirinto dello stress cronico
Il lato umano di questa sindrome è drammatico che ha trasformato un impiego stimolante in un incubo fatto di ritmi insostenibili, critiche e esaurimento. I sintomi sono chiari: agitazione costante, difficoltà di concentrazione, problemi di appetito e sonno. Per Martina, il primo passo verso la guarigione è stato il più difficile: riconoscerlo. Tornare a casa e “scoppiare a piangere” è stato il segnale del limite raggiunto. Uscirne ha significato riprendere in mano la propria vita, intensificare le sedute con lo psicologo e allontanarsi dall’ambiente tossico. L’angoscia di ammettere di non farcela è ancora un ostacolo culturale, rendendo il burnout un problema ancora non del tutto compreso. È fondamentale, dunque, implementare strategie di prevenzione e supporto per trasformare il luogo di lavoro in un ambiente più sano e tutelare il benessere dei dipendenti da questa piaga occupazionale.














