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Economia, il punto mensile di Michele De Michelis: soft landing e vuoti d’aria, suggeriamo cautela a chi non ama la volatilità

ECONOMIA, IL PUNTO MENSILE DI MICHELE DE MICHELIS

di MICHELE DE MICHELIS – FRAME ASSET MANAGEMENT

LUGANO – Non so se avete presente le vignette di Hedgeye (assolutamente geniali a mio giudizio) che sintetizzano le vicende macro economiche con una ironia finissima. Tra queste, di recente, mi ha colpito molto quella che raffigurava lo Zio Sam con il cartello “The Fed” appuntato sul petto che cercava di colpire con l’ultima freccetta rimasta in mano un bersaglio sul quale capeggiava la scritta “Inflation” e cinque freccette in terra che non erano andate a buon fine. In realtà i recenti dati usciti sul CPI sembrerebbero negare quanto rappresentato dalla vignetta visto che forse l’obiettivo non è poi così lontano e, oltretutto, sembra che sia stato centrato riuscendo a mantenere l’economia in una condizione, sebbene non più  brillante come fino a poco tempo fa, comunque in un trend di crescita. Le ragioni vanno ricercate anche, ma non solo,  in un mercato del lavoro che sta raffreddandosi pur senza creare un aumento eccessivo dei disoccupati nè un calo nei consumi. Sta quindi prendendo forma l’agognato scenario del soft landing. Ma, possiamo considerarlo ormai come certo?

SOFT LANDING

Personalmente, aspetterei prima di stappare le bottiglie di champagne considerato che l’atterraggio dell’economia americana è paragonabile a quello di un Boeing dal peso eccessivo, con conseguenti “vuoti d’aria” che possono verificarsi in qualsiasi momento, causati sia da fattori esogeni (crisi geopolitiche su tutte) che da fattori endogeni come, ad esempio, un eccesso di euforia sulla salute della Corporate America oppure su aspettative elevate di prematuri tagli dei tassi. Su quest’ultimo aspetto, peraltro, anche se il mercato è tornato a scontare due tagli entro la fine dell’anno, mi sembra che di recente Powell non sia stato molto chiaro nella sua  comunicazione. E quando si parla di reazioni di mercato si intende sia quello azionario, dove gli indici hanno continuato a  macinare record su record, che quello obbligazionario che, nonostante uno spike a inizio mese avesse portato il decennale americano in area 4,5%, ha visto scendere i rendimenti su tutta la curva, a ulteriore dimostrazione che la Federal Reserve sta ormai vincendo  la lotta all’ all’inflazione senza causare gravi danni al ciclo economico, per quanto occorra ancora  attendere la pubblicazione del PCE che rimane il dato statistico preferito di Powell & company per la conferma del trend in atto.

SINGOLI TITOLI ALL’INTERNO DEGLI INDICI AZIONARI

Andando ad analizzare nel dettaglio il recente comportamento dei singoli titoli all’interno degli indici azionari a stelle e strisce, notiamo un inizio di ribilanciamento sulle azioni rimaste più indietro nel corso dell’anno con prese di beneficio sulle solite note che hanno trainato i listini negli ultimi nove mesi. Movimenti che, se avvengono in momenti di bassa volatilità come questo, di solito lasciano presagire una potenziale correzione o quantomeno un movimento di “pulizia” degli eccessi. Oltretutto, siamo entrati nella stagione degli utili e ci siamo arrivati con grandi stime al rialzo. Difficile quindi in questo contesto sorprendere in positivo gli operatori. Basti vedere cosa accaduto con le tre banche Jp Morgan, Wells Fargo e Citigroup che hanno perso in Borsa a seguito della pubblicazione di utili e fatturato superiori alle attese. Se aggiungiamo poi le vicende politiche sulle elezioni di novembre (Biden si/Biden no, attentato fallito a Trump, etc.) nonché la stagionalità estiva non sempre amica dei trend rialzisti, non resta che suggerire quantomeno cautela soprattutto a quegli investitori che non amano particolarmente la volatilità.

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